Non è una novità che il trend demografico generale dei paesi e delle città in Italia sia in diminuzione: ne parlano tutti i mezzi di comunicazione e, passeggiando fra le vie delle città di pianura come fra i borghi di montagna, ci si accorge sempre più della presenza di case chiuse, edifici vuoti, appartamenti in vendita o in affitto. Ci sono meno persone, le città ed i paesi si spopolano. Solo in pochissimi casi, legati perlopiù all’aumento della presenza d’immigrati, vi è ancora una minima crescita; in tutti gli altri casi la popolazione italiana invecchia e diminuisce.

Una popolazione in costante calo

Stando ai più recenti rapporti ONU sulla demografia (del 2000 e 2003) e comprendendo anche un flusso migratorio positivo, previsto in circa 650.000 unità all’anno sino al 2020, la popolazione italiana è destinata a calare sino a 42 milioni nel 2050, con un’età media di 53 anni.

Non a caso un editoriale del Wall Street Journal del 7 settembre 2010 riportava questo titolo: “Italia, riposa in pace”. L´editoriale citava i dati dell´istituto tedesco di ricerca demografica Max Planck secondo il quale in Italia, se il trend attuale continuerà come all’oggi, la popolazione precipiterà a 10 milioni entro fine Secolo.  Attualmente, mentre un quinto degli italiani è in pensione  (circa il 22%) il 15% del Pil italiano è destinato a finanziare la previdenza. L’Italia, prosegue l’editoriale, non è la sola ad avere questa drastica flessione demografica, ma la sua peculiarità sta nel fatto che il trend viene considerato, dai ricercatori, irreversibile.

Costruire sempre e comunque

Dall’altro canto assistiamo ad un trend di sviluppo generale legato all’espansione e alla crescita in grandezza.  Si continuano a costruire nuove case, nuove aziende, nuove strade. Si occupa nuovo territorio, si disboscano foreste, si toglie terreno all’agricoltura e all’ambiente naturale, si cementificano coste, si ristringono le aree di pertinenza dei fiumi e si tombinano i canali.

Secondo l’annuario Istat tra il 1995 e il 2010 sono stati edificati quasi quattro miliardi di metri cubi di costruzioni. Di questi, circa il 60% per attività commerciali e produttive ed il restante 40% nell’edificazione di unità abitative. Dal rapporto Istat [1]“(…) è soprattutto impressionante la copertura, quasi senza soluzione di continuità, dell’area pedemontana lombardo-veneta, che costituisce una delle più vaste conurbazioni europee. Si tratta di quasi 15 milioni di appartamenti”.

In un articolo sul sito web del Corriere della Sera del 20 marzo 2009, Gian Antonio Stella [2] tratta il tema del consumo di territorio in Veneto.  Stella cita, fra gli altri, gli atti di un convegno sul consumo del suolo in provincia di Vicenza secondo il quale l’uomo, in tutta la sua storia, ha occupato, dall’età della pietra ai primi anni Cinquanta, ben 8.674 ettari; per poi occuparne, nell’ultimo mezzo secolo, molto più del doppio: 19.463 ettari. “Una colata di cemento che ha stravolto la campagna descritta da Goffredo Parise e Luigi Meneghello fino al punto che il calcolo della «impronta ecologica» (un indice che attraverso sistemi complessi misura il livello dei nostri consumi) attesta che ciascun vicentino si ritrova oggi a disporre di poco più di 3.000 metri quadri di territorio, pur consumandone 39.000.  Secondo i dati riportati da Stella “ogni neonato vicentino si ritrovava in dote un blocco di 3.718 metri cubi di calcestruzzo. Il tutto distribuito non uniformemente, ma quasi sempre in pianura. Esattamente come nel resto del Veneto dove, tolti quelli di montagna e larga parte di quelli collinari, i 444 comuni adagiati sull’ormai ex campagna hanno quattro o cinque aree industriali ciascuno se non, in certi casi, otto o nove.”

Alloggi pronti, case vuote, appartamenti sfitti

Più in generale, in Veneto, secondo uno studio del professor Tiziano Tempesta [3], ordinario del Dipartimento Territorio dell’Università di Padova, ha già oggi tante abitazioni e cantieri aperti sufficienti a dare alloggio a circa 788.000 persone, tali cioè da soddisfare la domanda d’alloggio, anche da parte di nuovi immigrati, calcolata fino al 2022. Se poi dovesse calare l’attuale ed elevato tasso d’immigrazione, fino al 2034.  Nello studio di Tempesta si sottolinea altresì una contraddizione: negli ultimi anni di risacca segnati da un calo del manifatturiero del 5,6%, uno dei motori dell’immigrazione è stato proprio il boom edilizio: il 65% dei nuovi posti di lavoro (la gran parte occupati da immigrati) creati nel Veneto dal 2001 al 2006 ha riguardato il settore delle costruzioni.

A riprova di tale situazione, una notizia del 10 novembre 2010 a cura del quotidiano locale La Nuova di Treviso riporta una stima condotta da S.U.N.I.A. (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini e Assegnatari) nel quale viene evidenziato che solo nella città di Castelfranco Veneto, 33.407 abitanti al 31-08-2008 (ISTAT),  con un numero complessivo di appartamenti o alloggi che tocca le 18 mila unità, sono più di 2 mila quelli sfitti di cui solo un terzo non abitabili perché interessati da lavori di ristrutturazione o non agibili; gli altri 2/3 sono appartamenti o case vuote perché in attesa di essere venduti o affittati.

La situazione delle case vuote è comunque un problema di cui si parla troppo poco ma che affligge tutto il paese già nel 2001.

In Italia gli appartamenti sfitti, nel 2001 erano ben 5.638.705, in Veneto 318.055 e solo nella città di Padova 28.264 [4].  Del 2007 i dati sulle due grandi città italiane: a Roma, su 1.715.000 abitazioni, 245.000 – una su sette – sono oggi vuote; a Milano su 1.640.000 appartamenti, più di 80.000 non sono abitati, e quasi 900.000 metri cubi di uffici sono deserti (l’equivalente di 30 grattacieli Pirelli) [5].

In uno studio del Nomisma del dicembre 2009 è stato rilevato che, nel periodo 1991-2009, a fronte di una crescita delle disponibilità economiche familiari del 18%, l’incremento dei canoni di locazione in regime di libero mercato nelle aree urbane è stato pari al 105%. L’incidenza della locazione di un’abitazione di 70 mq sul reddito delle famiglie italiane è così passata dal 10,2% dei primi anni ‘90 all’attuale 17,6% (+74%). Il dato è ancora più significativo se si considera che accedono al mercato dell’affitto prevalentemente le famiglie meno abbienti: le famiglie in affitto si concentrano (nel 58,1%) nelle due fasce più basse di reddito, mentre l’incidenza degli affitti nella fascia più alta raggiunge solo l’8,2%.

Tale dato emerge anche in uno studio dell’Anci del marzo 2010, secondo il quale le case sfitte (o affittate in nero) in Italia sarebbero quattro milioni a fronte di un fabbisogno nazionale di 650.000 alloggi di edilizia popolare.  Ad aggravare tale dato quanto dichiarato dal Ministro della Semplificazione, on. Roberto Calderoli, il 19 gennaio 2011 di fronte alla commissione Bilancio della Camera che ha quantificato le ‘case fantasma’ in Italia (immobili disabitati o inutilizzati – casupole, baite, ville, magioni, casali, rocche, cascinali, immobili dello stato, fabbricati abusive ovvero non iscritti al catasto)  in circa 2 milioni e 800 mila.

Il problema é purtroppo comune a tutto il paese.  A Bolzano, per citare un esempio spesso considerato virtuoso, recentemente, su un articolo apparso sull´ Alto Adige del 09 gennaio 2011, sono indicati in 1.300 gli appartamenti liberi, cui vanno aggiunti oltre 500 alloggi non utilizzati perché in ristrutturazione o in costruzione. Tale dato è comprensivo solamente dei locali dichiarati.  Non sono considerati gli appartamenti e case gestite in nero al fine di non pagare le tasse allo stato italiano, pratica molto in vogain tutta la Provincia autonoma.

Il numero delle case sfitte in città di Padova, secondo quanto riportato nel corso del 2010 dalla stampa locale, è in linea con le percentuali delle altre medio-grandi città italiane.

Nel Comune di Padova, soprattutto a seguito del saldo migratorio positivo e della mutata situazione geo-politica europea, si sta verificando dopo molti anni di decrescita un lieve incremento della popolazione.  Dati comunali evidenziano comunque un aumento speculare della cosiddetta “fascia debole” della popolazione cittadina, mantenendo il fabbisogno abitativo residenziale pubblico complessivamente costante nell´ultimo triennio.

L’informativa della Camera dei Deputati della Repubblica Italiana di lunedì 14 giugno 2010 riportava ufficialmente che una delle principali caratteristiche del mercato immobiliare italiano è l´ampia area di soggetti che non riescono ad accedere, con proprie risorse, alla casa.  Tra questi, oltre alle famiglie a basso reddito, gli anziani soli, le giovani coppie, le famiglie monoparentali o con un solo reddito e l’ingresso nel mercato delle abitazione degli immigrati.  Ciò a fronte di un protratto ciclo di aumento del prezzo degli immobili avviato nel 1998 – e dei canoni di locazione – seguito dalla crescita della domanda di abitazioni manifestatasi negli ultimi anni in parallelo alla riduzione delle nuove costruzioni (scese da 450.000 all’anno negli anni ‘70 a 240.000 negli ‘90, e in limitata risalita a 270.000 nei primi anni 2000) e, da ultimo, anche dalla nuova dinamica demografica caratterizzata, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, dall’aumento dell’immigrazione che ha generato una nuova domanda aggiuntiva di alloggi.  Tali problemi si sono concentrati prevalentemente nelle città metropolitane dove maggiore è risultato il livello raggiunto dai prezzi delle costruzioni (solo per il 1998-2004 la crescita dei prezzi nei grandi comuni è stata del 65% contro una media nazionale del 51% secondo il Cresme).  Tali problematiche erano state analizzate alcuni anni fa durante un’indagine sulla condizione abitativa in Italia appositamente condotta dal Ministero delle Infrastrutture sui fattori di disagio e sulle strategie di intervento, con l’obiettivo di quantificare la dimensione reale dei fenomeni di disagio abitativo delle famiglie.  Da tale indagine era risultato, tra l’altro, che la quota di affittuari che si trovano in condizioni di povertà economica era passata da poco più del 20% all’inizio del 1977 a quasi il 40% nel 2004 e che, mentre tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 per circa il 60% degli affittuari il peso del canone di locazione non superava il 10% sul reddito disponibile, negli anni 2000 il peso dell’affitto sulle risorse famigliari era aumentato in modo significativo: il 45% dei nuclei in affitto destina al canone più di un quarto del reddito disponibile.

Visione del futuro e proposte concrete

Come non dare ragione, quindi, a Legambiente Padova che sulla rivista Ecopolis n. 104 dell’aprile 2007 dichiarava: “tale richiesta abitativa a Padova non è dovuta alla carenza di alloggi, quanto piuttosto all’eccessivo prezzo degli stessi (connesso soprattutto alla rendita speculativa sulle aree che – complice una visione ancora fortemente monocentrica dello sviluppo urbano metropolitano – continua a crescere anche in presenza di una evidente “sovrapproduzione” edilizia), al cattivo uso dello stock esistente e ad una industria delle costruzioni che privilegia le tipologie edilizie più lussuose e meno economiche quali quelle – sia detto per inciso – realizzate nelle “aree di perequazione” (un tempo aree destinate a verde pubblico) caratterizzate da bassi indici di edificabilità.

Dice giustamente Stefano Boeri, Architetto, docente di Progettazione urbanistica al Politecnico di Milano e direttore della rivista Abitare: “una seria politica di rivitalizzazione di questo immenso patrimonio sfitto o abbandonato muoverebbe le energie molecolari di migliaia di piccole imprese edili, l’intelligenza delle innumerevoli associazioni che si occupano di instaurare uno scambio fiduciario tra proprietari e inquilini (ecco la vera sussidiarietà),  aumenterebbe il reddito di migliaia di famiglie impaurite da un sistema dell’affitto sregolato e darebbe casa a prezzi calmierati a altrettante migliaia di cittadini bisognosi ma esclusi dai requisiti a volte rigidi delle politiche centralizzate. Qualcosa che sta accadendo, per fare un esempio vicino, in Spagna, a Barcellona, dove un’Agenzia immobiliare sociale in pochi anni ha re-immesso sul mercato più di 20.000 abitazioni ad affitti calmierati.”.

Tutti i dati ufficiali e le notizie che ho riportato mi permettono di asserire che dobbiamo, in questo 2011, cambiare prospettiva e direzione.

Trasportati dalla pubblicità e dal consumismo estremo associamo senza riflettere il nostro progresso all’aumento spaziale e alla quantità di cose in barba a situazioni paradossali comuni a tutti i paesi e a tutte le città italiane dove percentuali importanti di abitazioni sono vuote e, dove, le zone industriali presentano aree aziendali non più occupate. Eppure, se ci soffermassimo un attimo per cogliere lo sviluppo delle specie che ci circondano o degli stessi oggetti che noi costruiamo, noteremmo che il progresso non è mai nell’aumento della quantità e nella grandezza ma, al contrario, nella specializzazione, nella miniaturizzazione e  nella qualità. Basta pensare ai computer.

Uno sviluppo corretto, a fronte di serie storiche e previsioni di lungo periodo, deve essere quindi legato al contenimento, alla riduzione, a una “decrescita felice”.

Fermiamo, quindi, l´insensata costruzione di nuove case. Rivediamo subito e con decisione i piani esistenti. Anche le recenti esperienze del PAT e del PATI, giusto per citare il caso Veneto, hanno evidenziato di non saper governare nel medio-lungo periodo lo sviluppo corretto del territorio e vanno per questo radicalmente ripensati. Concentriamoci sulla ristrutturazione e sull’occupazione dell’esistente, se necessario, o al suo smantellamento ridando spazio all’agricoltura, ai parchi e all’ambiente naturale. Spostiamo le case di chi ha costruito in aree sensibili o pericolose.  Nuove aree industriali e commerciali non devono essere costruite solo perché la legge lo permette se non necessari. Concentriamoci piuttosto sulla qualità di quelle esistenti, riorganizzandone la logistica, diminuendone gli impatti negativi e, quando possibile, pensiamo ad eliminare quelle non più necessarie o ad accorparle a quelle vicine.  Imponiamo sistemi costruttivi qualitativamente più stringenti, incentiviamo le rilocalizzazioni e l’aumento della qualità. Gli stessi costruttori affermano che anche l’economia ne guadagnerebbe, senza scordare che aumenterebbero i posti di lavoro.

Aumentiamo significativamente le attuali tasse comunali sulle seconde case e soprattutto su quelle sfitte da più di un anno e abbassiamole ulteriormente a chi affitta a giovani, anziani e senza reddito.    Impediamo, in questi tempi di crisi, la speculazione edilizia.  cerchiamo di avvantaggiare gli affitti nelle aree centrali delle città.

Deve essere assicurata una casa a chi ne ha bisogno, una casa di cui si ha bisogno quando si ha più bisogno, con i servizi di un abitare moderno, con spazi pubblici, verdi ed aperti, con attrezzature, nonché con un sistema di trasporti efficace. Una casa per chi risiede, ma anche abitazioni per chi vive una città o un luogo per studio, per lavoro o solamente per piacere. Una casa in una città bella e sostenibile non può sorgere in un centro oppresso dal cemento, dal traffico, da zone residenziali fantasma, da aree vuote, in stato di degrado o, ancora, da migliaia di case sfitte.

Riassumendo le proposte concrete:

  1. stop a nuove costruzioni e nuovo consumo di suolo;
  2. rivisitiamo, con questa visione, i piani di governo del territorio a tutti i livelli;
  3. aumento significativo delle tasse sulle case sfitte o vuote;
  4. riallocazione delle case che si trovano in aree sensibili;
  5. riqualificazione delle aree dismesse o abbandonate;
  6. incentivo deciso della ristrutturazione dell’edificato esistente;
  7. regolamento edilizio con sole norme di ecocompatibilità e criteri come quelli espressi da “casaclima”;
  8. puntiamo sulle sole energie rinnovabili e ricerchiamo nell´edificato l´autoproduzione;
  9. decrescita e riallocazione funzionale delle aree industriali;
  10. altre proposte che verranno dai vostri suggerimenti, questo è un articolo “aperto”, li aspetto via e-mail alla pagina contatti.

Aspetto i vostri commenti ed i vostri suggerimenti.

dr. Andrea Omizzolo,

pianificatore territoriale, ricercatore


[1] Riportato da Giovanni Pivetta, Milano, 13 dicembre 2010

[2] inviato ed editorialista dello stesso quotidiano nazionale nonché autore, assieme a Sergio Rizzo del libro “La casta”

[3] Riportato anche in un suo articolo, Padova, 11 marzo 2009

[4] Istat, Censimento Generale 2001

[5] Stefano Boeri, da La Stampa del 22/7/09

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